2016
DI PENNA IN PENNA

Maria Pia Quintavalla

Stamane, mi sono svegliata già stanca e un po’ agitata come da un sonno duro e senza pace,
e avrei voluto parlare con te, madre: mi sento così strana senza il nostro telefono senza fili
che quei fili ho cercato amorosi nel buio, per un po’ senza trovarli.
Intanto risentivo la tua bella voce sensuosa avvolgermi, e un po’ solare, ma l’aria pareva
potesse smarrire quei tesori se non li afferravo presto, come quel tuo ondeggiare lieve.
Eravamo sole, e quest’immagine mi ha dato la carica nervosa, senza parole ancora, che
per giorni mi avrebbe lasciata in tormento.
Allora ho sentito che non ci sarebbe stata un’altra possibilità, se non ti avessi presa così,
di forza, e con la mia attenzione costretta a sedere qui, a portata di orecchio.
C’eri tu e interamente, come figura che lo spazio occupato da te indicava, e ti ho fatto cenno
di posare dove volevi.
Nessuna immaginazione sul tuo corpo mi era di ostacolo, né mi indicava una tua necessità;
anzi pensavo di non darti costrizione alcuna per non spaventarti, o umiliare coi legami del mondo.
Così ho sentito che ti spostavi liberamente e che potevo farti dei cenni, circondarmi della tua aria, perché è quanto
vado cercando di te, un luogo per accoglierti.
Niente che io conosca così bene ma quanto tu, silenziosa al mio fianco, già conosci.
Ordina pure che ci lascino tranquille, avevo voglia di rassicurarti.
Movimenti finissimi e celestiali, quasi primi moti della vita nel grembo, prima del nascere; così ti avevo vista respirare,
lottare con soavità tenace, prima di staccarti dal corpo, agli ultimi.
Stessa grazia e luce interna potevano ora espandersi riverberare, io non temevo.
Eravamo libere e insieme sole, parlammo?
Non so, come non sento alone di un altro tempo che si sposti da qui, l’eterno dove sei rivolta, i due volti guardando
nello stesso punto senza fissarsi, piuttosto volti all’unisono.
E dove era caduta la rondine più alta, per forare spostandolo, il muro a me incompiuto.