Sul progetto “Poesia e cura” negli ospedali di Bologna
Da un po’ di tempo il mio lavoro è stare in ascolto. Accolgo i progetti solo se risuonano, li sento chiamare e quando sono veri apro la porta, dico sì e allora cominciamo a camminare, mi faccio guidare. Così è avvenuto anche per il progetto “Poesia e cura, un cammino insieme” realizzato per Ausl di Bologna in collaborazione con la rete aziendale di Medicina Narrativa.
Tra le persone sedute in libreria per la presentazione del mio ultimo libro, senza svelarsi c’era la dott.ssa Raffaella Romagnoli, occhi vivi e luminosi, di quelli che si riconoscono. Proprio lei qualche giorno dopo mi ha scritto, questa volta svelandosi, e mi ha chiesto se per caso avessi voglia di portare la poesia in ospedale.
Raffaella non sapeva che già da anni, grazie alla Fondazione Policlinico Sant’Orsola, mi occupo di progetti di poesia e arte tra le mura ospedaliere, e che dal primo giorno l’esperienza di portare la parola poetica a chi sta attraversando il viaggio del dolore, a chi ha davvero bisogno di una parola piena, vera, capace di illuminare, mi ha cambiato la vita, mi ha fatto comprendere il valore e la responsabilità di avere un talento, una vocazione, e capire quanto può essere davvero utile in un cammino di conoscenza di se stessi, di investigazione del mondo, di guarigione.
Così, la dott.ssa Romagnoli ha trovato aperta la mia porta, spalancata, e insieme al dott. Stefano Benini e alla dott.ssa Angela Salerno, abbiamo creato questo percorso i cui primi quattro incontri si sono tenuti tra marzo e aprile presso l’Ospedale Maggiore e prossimi quattro si terranno tra settembre e ottobre all’Ospedale Bellaria. Si tratta di un laboratorio di poesia dedicato agli operatori sanitari, quattro incontri di lettura e scrittura, di allenamento all’ascolto e condivisione.
Io non ho mai uno schema fisso, rigido, costruisco gli incontri a seconda delle persone che mi trovo davanti, provo a sentire, anche qui, a restare in ascolto. Così, il primo appuntamento è stato soprattutto un conoscersi e uno sfatare alcuni luoghi comuni sulla poesia.
La poesia non si capisce. Questo è il primo punto, la prima cosa che di solito tengo a sottolineare, perché tante persone si allontano da lei proprio dichiarando di non capirla, è un retaggio scolastico, siamo figli fuggitivi dell’analisi del testo, della versione in prosa, tutti metodi perfetti per far odiare la poesia e non permetterne la vera esperienza. Allora invito ad andare oltre il messaggio, oltre il significato, perché quando una poesia è vera la sua forza non è nel messaggio ma in qualche altra cosa, nel non detto, nella musica apparente o non apparente, in quello che Ungaretti chiamava il segreto. Questo significa ascoltare, essere disposti ad abbandonare un po’ la nostra parte razionale ed aprirci all’ignoto, concederci finalmente la possibilità di non capire niente. Solo in questo modo possiamo rischiare di capire qualcosa in più.
Un’altra questione importante è che la poesia non è consolazione, anzi può essere uno strumento per scendere negli abissi personali e metterci faccia a faccia con i nostri mostri. Per questo bisogna imparare a usarlo. Dante scende negli inferi con Virgilio, non lo fa da solo. E dopo queste dovute premesse, si è proceduto con la lettura, soprattutto di autori contemporanei, e con alcuni esercizi di scrittura.
Davanti a me c’erano medici, infermieri, oss, personale tecnico-amministrativo, io non conoscevo i loro ruoli. Una volta varcata la soglia ed entrati nel cerchio magico del laboratorio, i ruoli crollano e restiamo noi, con le nostre fragilità e la nostra forza, semplicemente umani.
Sono stati quattro appuntamenti di svelamento, di conoscenza del silenzio, in cui – come spesso accade – chi all’inizio sembra distaccato, disinteressato, quasi sulla difensiva, arriva il momento in cui si apre. La maggior parte dei partecipanti non aveva mai letto poesia contemporanea né tanto meno scritto un verso in vita sua, e c’è chi ha detto: “non avevo mai scritto perché credevo di non avere niente da dire, ma quando ho capito che non c’era bisogno di avere qualcosa da dire mi sono sbloccata e la scrittura è arrivata come un fiume in piena”. È proprio questo il punto: diventare capaci di lasciarsi dire dal mondo, farsi canali di ciò che deve essere detto e vestire questa energia che passa attraverso di noi con le parole del proprio quotidiano, dei sogni, dei ricordi. Un’altra testimonianza per me molto importante è stata quella di una dottoressa che ha detto: “grazie a questo laboratorio, a questo mettermi in ascolto della poesia, sono stata più capace di ascoltare i pazienti” e questo mi sembra un risultato straordinario, la dimostrazione di quanto davvero la poesia, l’arte, possono aiutarci nel lavoro, nella vita di tutti i giorni, nel cammino. Le testimonianze sono state tante e molte davvero sorprendenti.
Durante l’ultimo incontro i partecipanti hanno letto i versi scritti nel corso degli incontri, è stato un momento di raccoglimento e unione, una scintilla di luce piantata nel cuore di tutti. So che questa luce ognuno la porterà con se fuori dal laboratorio e, spero, continuerà a vivere e a generare.
Ora ci aspettano altri quattro appuntamenti con un gruppo nuovo. Occhi, parole, silenzi, domande, strade possibili aperte nell’invisibile. Cosa accadrà? Io resto in ascolto.
Valerio Grutt