Temo che la nostra sarà ricordata anzitutto come l’epoca dell’Ego supremo, molto probabilmente per quanto concerne letteratura e poesia. La Natura, con la enne maiuscola, è diventata uno degli argomenti principe della poesia, tanto è vero che ho ricevuto nel corso di questi ultimi anni innumerevoli libelli dedicati proprio alla natura e tanto da scatenare, purtroppo, una sorta di guerra, di corsa all’occupazione del trono da vero poeta / poetessa della natura. Un incongrua incoronazione poiché c’è da starne certo, il poeta o la poetessa che si presentasse come l’autentico profeta del tema è destinato a dirci una vasta serie di banalità. Meglio, decisamente, restare nel dubbio, meglio non fidarsi nemmeno troppo della propria presunta sensibilità, avanzare, guardare, traspirare, auscultare, se ne siamo capaci, meditare, ma con cautela, direi anzi con ritrosia, con… c’è una parola che mi sfugge ma resta lì, ai margini del vocabolario… riserbo? Invece eccediamo in scaltrezza, in arroganza, ora vi diciamo noi come stanno le cose, cos’è la vera natura… ci sarebbero tante poesie da citare, tanti versi, ma io continuo a indagare le parole tratteggiate non da un poeta con il suo bel editore aulico pronto a suggellare il proprio genio, ma da un monaco zen, Zenkei Shibayama, giapponese, vissuto nel Secolo breve:
Alte sono le montagne, verdi sono gli alberi,
profonde sono le valli, limpidi sono i torrenti;
il vento e lieve, la luna e serena.
Con calma leggo la Vera Parola senza lettere. (1)
Quante volte mi sarò chiesto che cosa sia la vera parola senza lettere… se l’abbia davvero mai sfiorata meditando nei boschi, ai piedi delle cascate, nel tronco cavo di un castagno o di una sequoia…? Può essere agguantata oppure è il silenzio inaccessibile, irraggiungibile, di cui tratta Giovanni Pozzi nel suo Tacet? Siamo diventati grandi profeti, grandi maestri, profondi conoscitori, eppure c’è troppo che continua a eludere, che ci sfugge, che non penetra nella nostra illusione di capire e di sapere. Troppo. E per fortuna, perché cosa dire di un faggio plurisecolare che ci accoglie nella sua stanca staticità? Le misure? L’architettura? Ci sarà sempre qualcosa che non possiamo raggiungere, che resterà inatteso, inascoltato, incompreso.
1 Da Un fiore non parla, Mondadori, Milano, 1999; riproposto in Sutra degli alberi di T. Fratus, Piano B, Pistoia, 2023.
2 Tacet di G. Pozzi, Adelphi, Milano, 2013.