Ogni anno, quando arrivo in via della Conciliazione, alla giornata dei Ritratti di poesia, mi viene in mente una conversazione con Nanni Balestrini di tanti anni fa, 2000 o 2001. Era appena tornato da un festival in Francia, a Montpellier forse, e mi aveva raccontato con gusto di una lettura incrociata insieme ad altri poeti, organizzata lì per lì. Sentendo i nomi, mi ero stupita: alcuni di loro erano lineari, quasi una parolaccia, tutta un’altra famiglia. Ma no, aveva detto lui con la pazienza che si riserva agli sciocchi, in certe situazioni quello che conta è che si è tutti poeti. Così, ogni anno, quel giorno di aprile all’auditorium della Conciliazione, mi pare di trovarmi in una grande riunione di famiglia: non è detto che ci si voglia tutti bene, ma si è tutti poeti e questo mette allegria. Vedete, ci siamo, e oggi siamo in tanti.
Non dei poeti però voglio parlare, ma dei ragazzi delle scuole, che sono i primi ad arrivare con gli insegnanti nei pullman, e poi vanno via quando la mattinata non è ancora finita perché l’orario è quello, ma finché ci sono, riempiono la sala e non sono “il pubblico della poesia”, quello che va sempre alle letture, “mite generoso attento” (ancora Balestrini). Loro alle letture non sono mai andati, e solo da poco hanno scoperto che non tutti i poeti sono morti, e ancora da meno hanno scoperto che pure loro, se vogliono, possono fare parte della famiglia. All’inizio non ci credevano, ma convincerli non è difficile, e il bello viene dopo, quando si accorgono che le parole hanno un peso, una densità, una durata, e che in una poesia conta ogni parola, e pure il silenzio che separa le parole, e che questo è un potere che non sapevano di avere. Lo useranno in pochi, naturalmente, ma è bello che in questa riunione di famiglia ci siano anche loro.