La Poesia e i ragazzi

In un momento storico così complesso, in cui non ci sono punti di riferimento fermi, né culturali né spirituali e, per avventura, tale lacuna non fa nemmeno più tanta paura (anzi, forse, potrebbe perfino avere i suoi aspetti positivi, sopratutto dopo il Novecento e il suo portato storico), ho sempre creduto che la poesia possa essere un lume.
Non insegna concetti, non è educativa, non salverà il mondo, come ha detto Patrizia Cavalli ma ha, a mio avviso, un potenziale enorme e, cioè, quello di far esercitare le persone a un libero allargamento dei confini emotivi e intellettuali.
Se ciò può apparire ascrivibile a tutta l’arte e, quindi, a tutta la letteratura (e provando a demolire le false credenze del nostro paese che vedono la poesia come qualcosa di troppo astratto o addirittura di diverso e speciale rispetto agli altri generi letterari, sulla base dell’ormai superato insegnamento di Croce), mi pare che la scrittura poetica si possa impossessare di più e meglio dell’obiettivo di spingere la mente ad andare al di là dei propri confini. Oggi, questa riflessione mi sembra più che mai veritiera, per svariate ragioni: la poesia non necessita di contenere trame e, quindi, indirizzi tematici precisi; l’estetica è centrale nell’atto creativo ma non esiste più una rosa di forme predefinite e coralmente accettate a cui doversi attenere; riesce ad attingere da tutti gli altri generi, dalla prosa al teatro e, allargando alle altre arti, anche dal cinema, dalla pittura, dalla scultura, dalla musica e tanto altro (si pensi all’introduzione di linguaggi non letterari come quello medico, come le storpiature dell’italiano degli stranieri, come quello giornalistico o pubblicitario, quello legale, quello industriale, etc). Fermo restando, però, che ciò non vuol dire che la poesia sia casuale e peschi in modo rabdomantico qualsiasi materiale in spregio alla sorveglianza e alla dovuta padronanza di forma, misure e progetti letterario-intellettuali.
Insomma la poesia ha moltissimo da offrire in termini di suggestioni (e ben poco, per fortuna, di dogmi, pre-concetti e valori assoluti), non solo a chi ha già maturato una coscienza culturale ma anche a chi la sta elaborando, come i nostri ragazzi.
I programmi scolastici, dotati di un esiguo excursus della storia della poesia e, spesso, poco concentrati sul contemporaneo, probabilmente ancora non agevolano una fruizione intuitiva della stessa da parte dei ragazzi. Come sosteneva Umberto Eco, essere colti non significa conoscere molte cose a prescindere ma sapere dove andarle a trovare: questo credo che sia il compito principale di critici, divulgatori, insegnanti e, oggi, anche di festival e rassegne, tramiti importanti tra autori e pubblico. Aiutare i ragazzi in particolare, e le persone in generale, a saper cercare ciò di cui sentono il bisogno, o di cui hanno curiosità, non significa insegnare a saper usare Google o a saper accedere a una conoscenza generale bensì affinare la sensibilità di rintracciare, nel mare magnum di dati che ci sovrastano, le parole giuste, quelle che ci servono.
Intanto credo che sia di centrale importanza far capire che la poesia non è più eremitica (almeno, non lo è in modo esclusivo) e solo elegiaca, non è soltanto quella forma inarrivabile di linguaggio che possono scrivere solo i sapienti e che leggono in pochissimi. La poesia, oggi, è adatta a raggiungere ogni esigenza, sia culturale che di gusto, basta saper cercare l’autore giusto, il libro giusto, quella sollecitazione che si aggancia con i nostri movimenti interiori. Parlo di un rapporto con i testi che va oltre la letterarietà e ha a che vedere con il corpo e con la mente.
La poesia, luogo prioritario della metafora che per Ortega Y Gasset era la più forte manifestazione della disumanizzazione dell’arte, proprio partendo da questa possibilità di staccarsi dalla realtà pur essendo in essa radicatissima, educa ad aprire la mente, a immaginare possibilità diverse, a vedere le cose da punti di vista sempre variabili. Abitua all’arte di spostarsi.
Mi sembra che la poesia aiuti a creare ipotesi (sempre ipotesi, mai certezze) di cosmogonie personali e collettive, eserciti a moltiplicare visuali e visioni, metta in crisi i dogmi ed esorti all’immaginazione e all’espressività (facoltà a certe latitudini ostacolata dall’abuso di strumenti tecnologici).
Parlare ai ragazzi di cosa significhi, oggi, leggere e scrivere poesia, coinvolgerli nel processo artistico liberandoli dai preconcetti sulla limitazione di temi, sui presunti linguaggi poetici, sulla ridondanza di rime e metrica, significa permettere loro di oltrepassare la soglia dello scetticismo che ammanta questo genere e di tuffarsi in quel “divinante trionfo sull’oblio” (definizione presa in prestito da Harold Bloom) che, per assurdo, consente di calarsi appieno nella realtà di tutti i giorni, nella memoria, nei sentimenti, nelle emozioni e nelle pulsioni concrete, fisiche, viscerali.
I ragazzi cercano – mi pare – qualcosa che sia in grado di intercettare il loro smarrimento (uno smarrimento condiviso con gli adulti, sia chiaro, ciascuno con i propri strumenti, infatti la poesia va bene per ogni età): poiché la scrittura poetica, almeno in alcuni casi, è puro smarrimento ma adopera, tuttavia, la chiave escatologica della parola quale tramite per l’accesso a una più spontanea comprensione della materia emotiva e antropologica, per altro collettivizzante, si dimostra essere uno strumento a mio avviso assolutamente utile per accedere al dialogo con il mondo, un mondo fatto dagli altri, dalle cose e dall’io che perde, così, la sua insidiosa autoreferenzialità.
Imparare ad avere massima cura del linguaggio, l’attenzione al suono e al complesso dei suoni, l’importanza della ricerca estenuante della parola giusta nello spazio giusto e la grandissima variabilità dei significati in base alle minime mutazioni dei significanti nonché all’utilizzo dei silenzi, è un ottimo esercizio alla vita, alle relazione, forse perfino a quella che ultimamente viene definita educazione sentimentale.
Se si legge la teoria della letteratura di Gérard Genette, tra ipotesti, ipertesti, paratesti, architesti e transtestualità, provando ad allargare prospettive e argomenti, sembra di accedere a un sorprendente discorso sull’umanità, sulle relazioni sociali dell’individuo e sulla identità attraverso la storia, il presente, la lettura del passato e le aspettative sul futuro. Studiando la letteratura, si trovano indizi e risorse che riguardano l’esistenza. Con la poesia, ciò avviene a un livello emotivo ancora più recondito, istintuale, originario. Non sto parlando di magia o pratiche ascetiche che, pur storicamente legate alla nascita della poesia stessa, oggi, al di là di certe mode passeggere quanto brandizzabili, appartengono a filoni circoscritti di scrittura che non rappresentano di certo né l’essenziale né la totalità.
La mente ragiona per figure retoriche e, quindi, poeticamente. Accedere alla comprensione di questo funzionamento poetico significa rendere più fluido il dialogo con il sé e, di conseguenza, con gli altri.
Parallelamente alla musica e alla canzone, la poesia può veicolare l’emotività e, ancora di più delle prime, può trasmettere strumenti di comprensione e condivisione di cui la società attuale ha molto bisogno.
La poesia, poi, per la maggior parte dei casi è breve, occupa poco spazio e poco tempo in linea con il modo in cui siamo abituati a fruire dei contenuti sui social, si può leggere in qualsiasi momento, quasi sempre non è necessario seguire l’ordine cronologico dei testi: sono tutte caratteristiche che rispettano le nuove esigenze delle persone, basta saperle cogliere e sfruttare, rispettando naturalmente anche la poesia stessa. E, come sempre, è dai ragazzi che si deve ripartire.