Giuseppe Cavaleri
A novembre andavamo al cimitero.
Lì, mio padre parlava con le tombe.
Parlava con il nonno e con un amico
morto il giorno di sant’Alfio a trent’anni.
Con gli anni si sono aggiunti altri.
Parenti che avevo visto aggrapparsi
alla vita come al corrimano delle scale,
di cui avevo ammirato le mani
ruvide che mi mostravano i cedri,
oppure che avevo visto al lavoro:
la fresatura scandita dalle bestemmie.
Bisogna crederci nelle parole
oppure non crederci per nulla
per pensare che arrivano ai morti,
superando la terra, la materia,
ignorando i resti, la decomposizione,
la carne divorata da tempo e vermi.
Ma lasciate andare così al vento,
le sillabe sbattevano sulle pietre.
Forse da qui, a giorni alterni,
l’idea che si perdano nell’aria
o che si fissino come il marmo.
Il linguaggio sono i vivi in fiamme.